Sopravvive ancora l‘antica tradizione artigianale dell’intreccio dei rami, foglie per creare oggetti dell’uso quotidiano anche nella nostra città di Belpasso. Un’usanza da tutelare e salvaguardare appartenente agli antichi mestieri. Scopriamola insieme.
L’arte dell’intreccio
Belpasso è un paese molto legato alle tradizioni artigianali di un tempo. Non stupisce che, qualcuno sia ancora saldamente legato a tradizioni familiari che riguardano la lavorazione della pianta del vimini, midollino del salice, dell’ulivo o della canna, per ricavarne tanti oggetti come: ceste, i cosiddetti panari, fasceddi e cannistri, cavagne, coffe, cufinati. Si tratta di modi caratteristici e specifici per indicare determinati contenitori. Essi erano diffusissimi nelle case siciliane. L’origine di quest’usanza risale alla notte dei tempi ed è attestata nella Bibbia sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento.
La realizzazione di questi oggetti richiedeva esperienza, abilità, calma, attenzione ai dettagli e quella pazienza tipica di chi eseguiva lavori manuali a cui oggi non siamo più abituati. Con la stessa tecnica, ma utilizzando la treccia di paglia, erano realizzati cappelli, pagliarole (cestini in paglia tradizionalmente utilizzati per il trasporto del raccolto e tenuti sopra la testa), scope, sottopentola, ventagli, stuoie, portasigari e suppellettili vari. Si producevano e si producono anche oggi soprattutto: sedie, culle, stuoie, paraventi, arredamento da giardino come poltrone o divisori frangivento.
Oggi molti di questi oggetti tradizionali, vivono una nuova vita, diventando accessori e oggetti di moda. Rappresentano degli articoli ricercatissimi, perché sul territorio ormai sono pochi i maestri in grado di produrre oggetti.
Questi oggetti oggi si ritrovano sporadicamente in qualche bottega e più diffusamente in giro, nelle esposizioni o nei tradizionali mercatini artigianali realizzati a Catania e provincia.
I materiali più usati per l’intreccio
L’arte dell’intreccio era una conoscenza fondamentale in famiglia. I materiali venivano quasi sempre e facilmente reperiti in natura, durante l’attività agricola praticata sia da uomini che da donne. Non a caso era un’attività complementare al lavoro dei campi. Spesso anche i bambini imparavano ad intrecciare i rami. I contadini utilizzavano ogni pianta dotata di una flessibilità sufficiente a essere intrecciata, ma il materiale più comunemente utilizzato era il salice o vimine. Insieme al vimine, o al suo posto, potevano essere utilizzati anche canne, ramoscelli d’olivo, di ginestra, sanguinello, olmo, vitalba e la paglia, il mais, il grano.
Erano realizzati in vimini i cestini per la formatura del formaggio e per contenere il pane, culle, protezioni per bottiglie, fischi e damigiane.
Non molto tempo fa, soprattutto nei paesi a tradizione agricola come a Belpasso, era consuetudine vedere seduto sull’uscio di casa o in campagna, l’abile artigiano, intento ad intrecciare con duttilità i listini del materiale prescelto. Quest’attività richiedeva l’uso di pochi attrezzi, un coltello e un punteruolo e il saper muovere sapientemente oltre le mani anche il resto del corpo. Le gambe in particolare, che tenevano imprigionato il cesto in lavorazione e aiutavano a correggere eventuali imperfezioni.
Oggi rimangono pochissimi artigiani con questa capacità. Di seguito alcuni esempi.
U’ panaru, il cesto tradizionale siciliano
Il tradizionale cesto siciliano, chiamato panaru, è realizzato con rami di ulivo selvatico e canna, materiali molto elastici e manipolabili. In particolare si tratta di olive (agghiaistre) o salici per realizzare la base e il manico e canne per la parte centrale. Questi contenitori di varia misura e forma venivano e vengono utilizzati per riporre alimenti di varia natura (uova, olive, arance, fichi, funghi, erbe e tanti altri alimenti).
U ‘Ntrizzaturi, era l’artista esperto nell’intreccio di foglie secche di palma nana. Era lui a dar vita a: cappelli borse, cestini, coffe, ventagli circolari chiamati “muscalori” (usati da macellai e pescivendoli per allontanare le mosche dagli alimenti in vendita oppure per ravvivare la fiamma dei bracieri).
L’arte dell’intreccio a Belpasso
Le botteghe di artigiani erano diffuse. L’artigianato è stato a lungo una delle principali risorse economiche del paese, grazie all’abbondare delle materie prime offerte dal territorio. Successivamente questo antico e nobile mestiere ha conosciuto una forte crisi per arrivare al vero e proprio abbandono.
Nella metà del ‘900 ancora resisteva, ma oggi con il progresso che poggia le sue basi sulla velocizzazione di qualunque tipo di produzione con i conseguenti risultati deleteri sia per l’ambiente che per la qualità dei prodotti.
Un’arte da tutelare
Le tecniche dell’intreccio non sono andate tuttavia perdute: esistono ancora mani forti che perpetuano quest’usanza. Seppur costituendo un settore di nicchia ormai ma gli artigiani e i loro prodotti, diventati soprattutto souvenir e oggetti caratteristici da collezione, sono un patrimonio immateriale da tutelare e far conoscere e apprezzare alle nuove generazioni.
foto di S. Portale . (fonte testo).